NEAL ASCHERON SUI MARMI
DEL PARTENONE


E' ora di tornare a parlare dei Marmi Elgin. O piuttosto tornare a parlare delle "Sculture del Partenone", poiché i pezzi al British Museum sono solo una porzione di un insieme più grande, la cui maggior parte resta ancora ad Atene. E' ora che le sculture a Londra tornino di nuovo alla Grecia.

Questo è un convincimento che non nasce oggi. Sin da quando il Brirtish Museum ha acquistato i Marmi da Lord Elgin nel 1816, dall'Inghilterra si sono levate voci appassionate per chiderne la restituzione alla Grecia. E le speranze legate a questa richiesta sono parse gradualmente concretizzarsi agli inizi del 1997.

I greci avevano superato tutte le obiezioni tradizionalmente sollevate contro la restituzione. Un nuovo, moderno Museo dell'Acropoli era in via di realizzazione; al British Museum sarebbero state donate copie di tutte le sculture per rimpiazzare gli originali; e l'Inghilterra non avrebbe dovuto pagare nulla per il trasporto ad Atene. Il museo continuava a negare il suo consenso. Ma l'opinione pubblica nel Paese sembrava essersi decisamente orientata in favore della restituzione, e 109 parlamentari nella scorsa legislatura -compresi dieci che sono oggi ministri nel governo Blair- avevano preventivamente firmato una mozione in favore della restituzione.

Poi, improvvisamente, questo processo virtuoso si arrestò di colpo. Nel giro di poche ore dalla vittoria elettorale, Chris Smith, il nuovo ministro della Cultura, dichiarava che i marmi erano "parte integrante" del British Museum e la loro restituzione non era in agenda. Questa dichirazione sconvolse i greci, e produsse profondo sgomento tra i membri del Comitato Britannico per la Restituzione dei Marmi del Partenone. Nulla di nuovo, da allora, è accaduto.

Ma qualcosa presto accadrà. Una nuova edizione del libro di Christopher Hitchen sui Marmi Elgin, riveduta e aggiornata, sarà in vendita all'inizio del nuovo anno (il 1998, n.d.t.). Dopo aver letto il suo saggio -lo scritto più convincente in favore della restituzione dai tempi delle furiose proteste di Byron- ho deciso di ritornare al museo la settimana scorsa, e dare un'altra occhiata. Per essere sincero, ho sempre rispettato i marmi, ma non li ho mai amati. Sì, è un miracolo che essi sopravvivano ancora, dopo 2500 anni. Ma la mutilazione e le ferite, le braccia senza mani e i colli senzza testa mi riempiono di orrore. I vandali turchi e cristiano-bizantini, i lavoranti maldestri di Elgin e più di due milleni di intemperie hanno corroso, scheggiato e scrostato i grandi fregi e le statue delle metope e dei frontoni a tal punto che ciò che ne rimane appare più una atrocità che un capolavoro. Integre, o anche meno offese, queste processioni solenni di giovani mènadi, docili buoi, cavalli impetuosi, sarebbero una delle meraviglie del mondo. Ma per lo stato in cui si trovano, sento più forte il senso della dura lotta dei Titani dell'altare di Pergamo a Berlino. Almeno quelli sono per lo più integri, e non bisogna combattere con l'enigma di "come dovevano apparire un tempo".

Quando una nazione trasferisce i tesori di un'altra nella sua cultura, bisogna chiedersi cosa ne traggano i nuovi proprietari. E' invalso l'uso di rimproverare i greci moderni per il loro desiderio "irrazionale" di riottenere le loro sculture. Sir David Wilson, allora direttore del British Museum, dichiarò nove anni fa in televisione che la richiesta greca era "fascismo culturale...è nazionalismo, è un pericolo culturale". Lasciando da parte il fascismo (se non altro perché i greci ne hanno sofferto molto più degli inglesi), questo implica che il possesso inglese dei Marmi del Partenone è stata il frutto di una serena, equilibrata valutazione. Ma le cose non stanno così.

I marmi furono trasformati in fautori della identità imperiale inglese del XIX secolo. Contribuirono a confermare, per esempio, l'idea dell'Inghilterra come forza civilizzatrice universale. I vittoriani non amavano paragoni con la Roma imperiale: troppa forza bruta, troppi bagordi. Al contario, preferirono immaginare una continuità con il mondo della Grecia classica. Immaginarono questa "Civiltà ellenica" come un dominio fondato su una superiorità culturale e morale piuttosto che su una schiacciante forza militare e una moderna tecnologia industriale. (Questa era una finzione storica: il potere di Atene riposava sulle guerre vinte e sull'esportazione di manufatti di qualità, non su Socrate e sulla democrazia. Ma i miti nazionali e imperiali sono spesso fondati su falsi).

Poi c'era lo stile delle sculture: I vittoriani adoravano il "naturalismo". Tutti gli altri stili erano considerati primitivi; l'arte aveva le sue leggi di sviluppo che la avevano condotta fino al culmine di un realismo fotografico basato su estte riproduzioni dell'immagine retinica dell'anatomia umana. Dopo tutto, l'arte dei sudditi indigeni del nuovo mondo aveva sempre deformato gli oggetti naturali. I bronzisti del Benin, i membri delle tribù canadesi che modellavano totem, i pittori di caverne boscimani o gli scultori maori, erano molto abili nelle loro opere, ma apparentemente incapaci di produrre un accurato ritratto o una natura morta. L'Archeologia ha mostrato che le popolazioni preistoriche ne erano ugualmente incapaci.

L'Inghilterra vittoriana concluse allora che l'arte "stilizzata" era espressione di menti arretrate, incomplete. Solo i greci classici, e per imitazione i romani, avevano precedentemente raggiunto la maestria artistica nella esatta riproduzione della realtà. Così il naturalismo parve essre l'arte dei destini imperiali, prefigurati sul Partenone. E allo stesso modo i corpi sui marmi del Partenone furono trascinati nel mito vittoriano. Quei corpi erano giovani, fisicamente perfetti, prevalentemente nudi e prevalentemente maschi. Incarnavano il culto imperiale tardo-vittoriano della gioventù (maschile), della forza, del decoro: mens sana in corpore sano. Inoltre le culture pagane e "indigene" dell'Impero erano quasi tutte considerate , a causa dei loro costumi, disgustose e indecenti per la cristianità vittoriana; e questa arretratezza morale fu a sua volta associata con la inabilità al realismo nell'arte.

Insomma, il desiderio greco di riavere le sculture è molto meno bizzarro e mistico di quanto sia stata la passione inglese di tenerle per sé. Tutto questo ricorda un po' le vicende della Pietra del Destino. Gli scozzesi ne chiedevano la restituzione, in base al criterio razionale che era stata loro estorta nel passato. Ma furono gli inglesi che attribuirono alla pietra poteri magici nel rito dell'Incarnazione, e fu il Decano di Wenstminster -non gli scozzesi- che dichiarò il suo "significato religioso".

Ma la passione per i Marmi è in declino. Non mi sembra un caso che l'interesse del pubblico verso i marmi sia andato gradualmente scemando dalla fine dell'impero coloniale inglese. L'immagine dell'inghilterra è cambiata, e ai marmi non si chiede più di propagandarla.

"Parte integrante" del British Museum? Come sottolinea Christopher Hitchens, è un'espressione assurda. Se i marmi sono parte integrante di qualcosa, questa è il Partenone, e nel senso proprio di questa espressione, poiché la maggior parte dei rilievi furono scolpiti sull'edificio e non applicati come decorazione. Ciò significa che i marmi non sono "oggetti d'arte " conclusi in se stessi, ma parte di qualcos'altro. E questo a sua volta respinge l'obiezione che la loro restituzione costituirebbe un precedente per la restituzione di ogni vaso o statuetta "esteri" nei musei del mondo.

Il British Museum ha conservato bene i marmi, tutto sommato. Ha permesso agli inglesi di attingere da essi una sorta di ispirazione nazionale. Ma questa particolare ispirazione non è più richiesta. L'amministrazione morale del Museo sui marmi del Partenone è finita, e adesso dovrebbero tornare in patria.

Riproduzione autorizzata dall'Independent on Sunday.

 
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